di Pasquale Licursi
SANTA CROCE DI MAGLIANO. Questa mattina, per lavoro, sono stato a Santa Croce. C’era già aria di festa. Ma la mia attenzione è andata al comunale, al ‘Vincenzo Cosco’. Sì, perché dopo diversi anni e diversi problemi, finalmente quello storico stadio ha ripreso forma. Poi leggendo un post dell’amico Pasquale Licursi ho pensato che chi meglio di lui potesse descrivere questa importante novità per una piazza che ha fatto, senza alcun dubbio, la storia del calcio molisano?
Contattato, Pasquale fine letterato di questa parte di Molise mi ha voluto regalare un ‘pezzo’ che ora vi condivido. Un pezzo che parla di passato ma è proiettato al futuro, un rettangolo di gioco che ha regalato emozioni che, forse è vero Pasquale, i bambini di oggi non potranno più vedere, ma non lasciamo che anche la speranza cessi. La storia ci insegna che le cose belle ritornano, spesso quando noi nemmeno le aspettiamo.
A voi la lettura.
“Ai bambini di oggi, dieci anni più o meno, è difficile raccontare un sogno qualsiasi. È tecnicamente difficile se non impossibile. E di sogni da raccontare ne avrei, insieme ai miei coetanei, infiniti da raccontare. Mi siederei sull’erba di un parco qualsiasi e lo farei. Ma ai sogni bisogna credere e questi bambini non hanno più sogni e non per colpa loro. La colpa è di chi li ha voluti così. Senza sogni. Il problema vero è che proprio i miei coetanei, quelli che ne avevano di sogni, non ci hanno più creduto.
Hanno cancellato in pochi anni quelle possibilità, che non devono necessariamente essere realizzate. Ma semplicemente devono essere sognate. Si è semplicemente realizzato un colpo di stato senza bombe e senza armi. Così. Col consenso e di tutti. Tutti abbiamo pensato e creduto che un centro commerciale pieno e un posto di lavoro (che alla maggioranza non piace) fosse un’idea di felicità, una piccola felicità. Se hai una casa, una macchina e paghi tranquillamente le bollette è felicità. Ma forse non è così. O non è solo così.
Chi ha attuato questo colpo di stato in maniera intelligente ha pensato che non serviva obbligare a vivere in un certo modo e in una certa maniera. Ha pensato bene che gli esseri umani sono deboli e costano poco. Come se andare una settimana al mare, in vacanza, possa giustificare un anno di lavoro, umiliazioni, fatiche e quant’altro. Come se il premio fosse il mare, un hotel a 3 stelle e un prosecco la domenica.
Ho conosciuto gente che si è divertita ed era felice senza un soldo in tasca. Ma coi sogni. Questo per dire che l’altro giorno ero da solo in Villa Comunale (la villa D’Amico che era un signore col sogno americano, realizzato) e mi sono trovato davanti al nuovo stadio “Vincenzo Cosco”. Da solo. E così, all’improvviso, non ho più visto la nuova erbetta, le strisce bianche e bellissime, il panorama dietro. No, niente di tutto questo. Ero lì, solo, perché solo si è soli puoi giocare con la fantasia ed ho rivisto la mia vita.
Non il mio passato ma quello che sono adesso e quello che sono diventato. Nel bene e nel male. Il nuovo Vincenzo Cosco. Ma per me si è soltanto rifatto il look, il trucco nuovo. E in cinque minuti ho goduto come non mi succedeva da tempo. Il campo sportivo qui da me non è un semplicissimo campo sportivo. Qui quel perimetro è una chiesa, un bar, una piazza e un monumento. Quel campo sportivo anche se non ci giocherà nessuno (spero di no) è un museo della vita. È la vita stessa.
Per chi è nato qui e per chi qui ha vissuto e vive quel campo non potrà mai essere un campo e basta. È respiro. Lunghissimo. E non si può spiegare. Non ti crede nessuno. Neanche chi ha qualche anno in più dei dieci che ho detto. Non ci credono. Cercare di ripetere quel sogno non è più credibile né possibile. Semplicemente non esiste più il contesto per farlo. Contesto umano intendo. Ma quel campo, il Vincenzo Cosco, resta eccome e con lui il sogno che ha seminato.
La Turris è stata tra le squadre più importanti della Regione e tutti ne conoscevano la forza e tutto il resto. Giocatori di livello hanno lasciato il segno e sono diventati leggenda. La sua storia parla chiaro e la sua fine mette tristezza. Angoscia anche. Io ho ricordi bellissimi. Sono nato con la Turris e sono cresciuto con lei. Senza Turris non saprei vivere e ha determinato anche il mio carattere, sotto certi aspetti. Alcuni giocatori mi hanno segnato e col loro ricordo vivo ogni mio santo giorno.
Ora è di nuovo pronto. O quasi. Ha rifatto il look ed è bellissimo. Anche vuoto senza squadra. Ed ero solo in villa quando l’ho visto rifatto per la prima volta. Ma non vedevo il nuovo sintetico, il verde accecante, il bianco delle linee. Vedevo quello che quel campo è stato. Almeno per me. Vedevo calciatori nella nebbia, nella pioggia e tifosi infreddoliti fare il tifo. Vedevo la mia gente stare lì e gridare. E vedevo anche l’azzurro delle maglie tra la scuola e la tribuna. Quello che oggi non vede un bambino mentre gioca in villa. E forse che non vedrà mai. Come non vedrà tante altre cose”.